Accademia MIBES: Medicina Integrata, Benessere e Salute

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Nicola Barsotti, Diego Lanaro, Marco Chiera

Al di là del mero toccare un corpo, le terapie manuali sono terapie articolate e complesse: se da un lato necessitano di una conoscenza dell’anatomia molto dettagliata – o almeno questo dovrebbe essere –, dall’altro lato coinvolgono una serie di tecniche specifiche che richiedono tempo per essere apprese e adeguatamente eseguite.

Eppur tuttavia, a volte sembra che questa preparazione sia insufficiente: nonostante si abbia una perfetta conoscenza dell’anatomia, e quindi si abbia bene in mente come quella particolare zona del corpo dovrebbe essere in termini di texture tissutale, consistenza e movimento, e nonostante si eseguano alla perfezione le tecniche specifiche per risolvere il problema di quel paziente, i risultati non arrivano.

In che senso non arrivano?

Magari il paziente sta bene al momento, ma dopo poco tempo il problema riemerge senza che il paziente abbia fatto alcunché di traumatico.
Oppure il paziente avverte un leggero miglioramento ma niente più.
Oppure il paziente effettivamente migliora, ma continua a ricadere negli stessi “errori” (vedremo fra poco quali) che lo riportano a star male.

Naturalmente, queste situazioni possono essere dovute a una diagnosi sbagliata, oppure ad un inadeguato processo di clinical decision-making da parte dell’operatore. Tuttavia, ciò accade anche quando è tutto fatto in maniera corretta.

Cos’è quindi che non funziona?

Semplice: stiamo agendo solo sull’aspetto oggettivo e “fisico” del paziente, senza coinvolgere direttamente la sua dimensione percettiva soggettiva. In altri termini: stiamo lasciando da parte l’interocezione e tutto quanto riguarda la consapevolezza corporea.

Se da un punto di vista neurofisiologico, l’interocezione è il processo tramite cui il nostro organismo capta tutto quanto sta avvenendo al suo interno, da un punto di vista psicologico, l’interocezione completa la propriocezione nel definire come noi percepiamo il nostro corpo.
Tutte le sensazioni che possiamo avvertire – dalla sete alla sazietà, dalla pesantezza al calore, dalla rigidità alla sicurezza, fino a percezioni più complesse e “strane” (es. sentirsi piccoli o grandi, vedersi nel buio o a colori, sentire il respiro che arriva in ogni parte del corpo o si ferma) – emergono grazie all’interocezione, e ai suoi legami con gli altri network che processano pensieri, emozioni, aspettative, etc.

E in un ambito come le terapie manuali, l’interocezione, o consapevolezza corporea, è vitale da tenere in considerazione.
Non a caso, spesso i pazienti stessi sono i primi a riportare di aver percepito delle sensazioni particolari, durante o dopo una terapia manuale.

Il problema è che altrettanto spesso il professionista non ci presta la giusta attenzione e le considera semplicemente come un by-product, un prodotto secondario del trattamento.
In realtà, si tratta forse dell’effetto più importante del trattamento!

Il vissuto di ognuno di noi, e quindi dei pazienti, è infatti formato da sensazioni e da percezioni corporee, che si intrecciano e ci spingono ad agire in un senso o nell’altro.
Quando si tratta il corpo di una persona, quindi, non possiamo non considerare che in quel corpo la persona ci vive e, pertanto, in quel corpo risiede ogni suo vissuto, ogni suo pensiero e ogni sua emozione.
Sia chiaro: non si sta dicendo che i pensieri sono memorizzati nel corpo. Tuttavia, si sta dicendo che noi viviamo i pensieri con il corpo.

Pensiamo a quando siamo sotto stress, oppure quando proviamo certe emozioni: tutti noi abbiamo delle ripercussioni fisiche, da variazioni nel battito cardiaco a tensioni miofasciali o altro, ripercussioni tutte associate con particolari sensazioni (freddo, caldo, rigidità, etc.).
Dall’altra parte, quando magari stiamo accumulando nervoso su nervoso, il corpo inizia a mandarci dei campanelli d’allarme: magari iniziamo a sentirci pesanti, oppure ci sentiamo compressi in noi stessi, o iniziamo a tremare, o chissà cos’altro.

Tutte queste sensazioni e percezioni sono elementi centrali nella cura di un paziente, sia perché possono rendere la persona maggiormente consapevole di se stessa e delle sue reazioni, sia perché possono aiutare il professionista ad eseguire un trattamento migliore in quanto maggiormente personalizzato e mirato.
E sono centrali nel momento in cui, tramite il tocco manuale, il professionista stimola proprio quelle fibre nervose, fra cui le fibre C amieliniche, che l’organismo usa per attuare l’intereocezione.

A volte, infatti, le persone continuano a star male perché non si rendono conto dei campanelli di allarme che il corpo dà loro – es. tremori, leggere tensioni, sensazioni viscerali – e arrivano sempre a far scoppiare la loro pentola a pressione interna – finiscono ossia per arrivare ad un punto dove le leggere tensioni diventano veri e propri dolori, o le sensazioni viscerali crampi con ripercussioni anche digestive.

Se durante una terapia manuale dialoghiamo con il nostro paziente, indagando che sensazioni sta avvertendo, ecco che possono emergere proprio quelle sensazioni del quotidiano a cui la persona può così darci un senso e imparare ad ascoltarle. La conseguenza? Che il paziente saprà meglio autoregolarsi e non arriverà più al limite della sopportazione.

In altri casi, invece, se chiediamo al paziente se sta avvertendo la tecnica che stiamo eseguendo come più o meno piacevole, possiamo adattare maggiormente il nostro agire all’individualità del paziente e maggiormente sostenere il suo processo di guarigione e la promozione della sua salute.

In altri casi ancora, porre attenzione ai processi interocettivi e al vissuto che sta avendo il paziente durante una terapia, può aiutare il paziente stesso a creare dei collegamenti fra dolori corporei e vissuti emotivi recenti o passati, rendendo così la terapia manuale davvero un intervento a 360°.

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(Fonte immagine: Photo by Benjamin Wedemeyer on Unsplash)

Bibliografia

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