Ai primi di marzo 2019, la FDA, l’ente regolatorio per i farmaci degli Stati Uniti d’America, ha autorizzato l’uso di esketamina (analogo dell’anestetico ketamina) per le persone depresse resistenti al trattamento farmacologico corrente, che, in questo casi, lo ricordo, è costituito dall’uso di più farmaci antidepressivi, con aggiunta di antipsicotici e ipnotici. Nonostante questo bombardamento, il 40% dei trattati, secondo le stime più ottimistiche, non risponde e cronicizza la patologia. L’innovazione farmacologica in questo campo è ferma agli anni ’80 e, nonostante il fiume di denaro guadagnato dalla vendita degli psicofarmaci, l’industria non ha cavato un ragno dal buco, vivendo di rendita sui serotoninergici e simili.
Adesso, poiché si è visto che la ketamina ha effetti rapidi sullo stato dell’umore, l’industria ha pensato bene di proporne l’uso non solo in emergenza ma come trattamento di fondo per decine di milioni di depressi cronici nel mondo. Da qui l’uso di esketamina in spray nasale. L’FDA ha approvato la commercializzazione del prodotto, ponendo alcune restrizioni al suo uso che dovrà avvenire in modo controllato in ambiente medico, ma resta il fatto che il rischio per la salute è gravissimo: tra gli altri effetti collaterali, la esketamina dà dipendenza e dissociazione. Quest’ultima, come è noto, è una delle manifestazioni cardine delle varie forme di psicosi. Insomma, nella migliore delle ipotesi, qualcuno starà meglio di umore e altri potranno diventare psicotici!
I sostenitori si difendono dicendo che dagli studi emerge che gli effetti secondari sono solo il 5%. A parte il fatto che gli studi pubblicati dal punto di vista statistico fanno sorridere: sono inadeguati per valutare l’impatto di un farmaco con potenziali effetti devastanti. I pochissimi trial controllati sono stati fatti su poche decine di persone con una durata media di 4 settimane 1 Inoltre, il 5%, su decine di milioni di persone potenzialmente trattabili, non è una bazzecola. Infine, nel gruppo in trattamento ci sono stati vari morti, di cui alcuni per suicidio. E anche se la FDA ha escluso che ci possa essere una relazione tra la esketamina e i suicidi, per pararsi il fondo schiena, ha inserito, nel bugiardino, l’avvertenza del rischio di suicidio. Il nuovo farmaco si chiamerà SPRAVATO. In effetti pravus in latino significa perverso, nomem omen, come si dice.
Qualche settimana prima, dal dipartimento di Psichiatria dell’Università di New Delhi sono giunti risultati di grande interesse riguardo allo Yoga tradizionale indiano, detto anche Yoga integrale, poiché comporta non solo l’uso delle tradizionali posizioni (asana) molto note in occidente, ma anche l’uso della respirazione (pranayama) e della meditazione (dhyana).
Lo studio randomizzato controllato 2 ha diviso casualmente 178 persone, affette da depressione maggiore secondo il DSM-5, in due gruppi: uno trattato con i farmaci antidepressivi e l’altro, senza farmaci, che ha seguito un percorso yoga. Lo studio è durato 12 mesi, alla fine dei quali il 59% delle persone cha avevano praticato lo yoga è andato in remissione, a differenza del 33% del gruppo trattato con farmaci. Una differenza statisticamente e clinicamente significativa.
Ma l’aspetto ancora più interessante di questo studio è che gli psichiatri indiani hanno anche analizzato il genotipo dei partecipanti, andando a cercare quelle modificazioni genetiche che si pensa favoriscano l’insorgenza della depressione. In particolare hanno cercato due tipi di varianti geniche: una riferita al cosiddetto trasportatore della serotonina (5-HTTLPR) e l’altra a un enzima che regola il ciclo dell’acido folico (MTHFR). La prima si presenta in tre forme, identificate rispetto alla lunghezza dell’area del cosiddetto promotore del gene: una forma lunga in omozigosi LL, una corta in omozigosi SS e l’altra intermedia in eterozigosi LS. Chi possiede la variante corta SS è a rischio superiore di sviluppare depressione soprattutto in condizioni di vita stressanti. Ebbene, davvero notevoli i risultati dello Yoga: il 57% delle persone depresse, con la variante genica SS e quindi a maggior rischio, sono andate in remissione, a fronte del solo 6% delle remissioni nel gruppo trattato farmacologicamente. Risultati analoghi anche rispetto alla variante genica per l’enzima dell’acido folico: è andato in remissione il 54% tra i più a rischio che hanno praticato yoga contro il 19% di chi ha preso farmaci.
Queste due ricerche indicano anche due vie da seguire, che certamente non sono antagoniste, perché un buon farmaco è sempre utile se usato con giudizio e per poco tempo. In questo senso, la esketamina in emergenza suicidio può fare la differenza, salvando una vita. Ma il rischio, anzi la certezza è che, essendo la ricerca tutta in mano all’industria ed essendo essa affamata di nuovi farmaci antidepressivi, l’eccezionalità diventerà la regola con danni irreparabili alla salute mentale su scala mondiale.
L’altra linea di ricerca, quella esemplificata dallo yoga integrale, ma che presenta un’ampia gamma di pratiche di salute, cominciando dalla meditazione, ha bisogno di un radicale cambio di passo. Occorre che sia la Società e cioè lo Stato a destinare risorse per la ricerca clinica e sperimentale e per la sua diffusione nelle strutture sanitarie e nelle competenze dei singoli operatori della salute mentale.
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Bibliografia
- Daly et al. (2017), Efficacy and Safety of Intranasal Esketamine Adjunctive to Oral Antidepressant Therapy in Treatment-Resistant Depression: A Randomized Clinical Trial, JAMA Psychiatry, 75(2):139-48.
- Tolahunase et al. (2018), 5-HTTLPR and MTHFR 677C>T polymorphisms and response to yoga-based lifestyle intervention in major depressive disorder: A randomized active-controlled trial, Indian J Psychiatry, 60(4):410-26.
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